MISURIAMO LE DIFESE
Si parla spesso del tema “giustizia”, relativo al cattivo funzionamento della giustizia
civile, sia per i ritardi che per gli errori giudiziari, e all’indiscusso peso che tale
inefficienza porta alla crescita dell’economia. La stampa economica riporta, infatti,
che l’Italia ritarda la ripresa economica, rispetto ai partner europei, principalmente
per l’inefficacia e l’inefficienza della macchina amministrativa della giustizia.
I dati pubblicati (1) dimostrano come ci sia molto da fare. Le cause pendenti relative a
fallimentare, contenzioso, lavoro, famiglia e volontaria giurisdizione erano al
31.12.2016 oltre 3,8 milioni (di cui 570.208 relativi ad aste fallimentari); sono
necessari in media circa 1.600 giorni (4,3 anni) per la sentenza definitiva del solo
primo grado. Ignazio Visco, Governatore della Banca d’Italia in entrambe le
“Considerazioni finali” per il 2017 e per il 2016 ha attribuito parte della valutazione
negativa fatta alla lunghezza dei processi civili, quale causa di impedimento della
crescita della economia in Italia, unitamente al mancato contrasto alla illegalità che
consente la concorrenza sleale di chi compie atti, sintomo di inciviltà, quali la
corruzione e l’evasione fiscale. Lo studio C.E.R. – Eures “Giustizia civile, imprese e
territori” ha valutato che, nel 2016, la lentezza dei processi e il malfunzionamento
dei tribunali, sono stati pari ad € 40 miliardi, ossia 2,5 punti del Pil Italiano del
periodo.
A livello microeconomico questo comporta la difficoltà per tutti gli imprenditori di
ottenere credito, posto che le Banche, a causa di un sistema legale inadeguato, non
hanno un reale recupero delle garanzie in caso di default e, parimenti, a tutti i
cittadini, anche non imprenditori, accade di non poter facilmente affrontare i costi
della giustizia, dati da spese legali, peritali, contributi e imposte di giustizia ed
eventuali spese accessorie (di custodia e/o di sostituzione del bene oggetto di lite,
etc..)
Esistono soluzioni? Per noi il principale motore sono i professionisti del
contenzioso, in particolar modo gli avvocati, chiamati a governare i mezzi previsti
dall’ordinamento giuridico. La radice del problema e la sua soluzione dovrebbero
essere ricercati nel complessivo panorama degli operatori del processo e dei vari
strumenti disponibili, al fine di scongiurare il tradizionale abuso di taluni strumenti
e di certe condotte che, distorti, impediscono il funzionamento di migliori schemi e
norme processuali che già oggi permettono di bilanciare gli interessi contrapposti in
tempi rapidi, abbattendo il vecchio detto “causa che pende, causa che rende”.
Per MECENATE le vie da percorrere dipendono, in primo luogo, da una scelta
fondamentale: se si vuole o meno mantenere lo status quo e l’ampio numero dei
professionisti del contenzioso, teoricamente tutti ugualmente preparati, che
attualmente il nostro sistema offre a chi affronta un giudizio o se, viceversa, siamo
disposti a cambiare. Per eliminare lo status quo e ridurre il numero di professionisti
non si dovrebbe unicamente passare per il criterio attuale, in teoria basato sulla
valutazione di titoli ed esami, ma orientare il mercato e la pubblica amministrazione
per garantire l’accesso solo a professionisti adeguatamente preparati, idoneamente
organizzati e a cui sia garantita una notevole e consolidata formazione ed esperienza
(sia a livello quantitativo che qualitativo), prima di consentire loro di partecipare
alla costruzione del dato giurisprudenziale, considerato che è nelle loro mani la
scelta di stabilire quali tra gli strumenti più efficaci utilizzare per filtrare le richieste
delle parti e giungere ad una decisione giusta ed equa.
A cura di Marco Masante
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(1). L’inefficienza della giustizia ci costa 1 punto del Pil: è ora di rimediare di Enea Franza, Il secolo d’Italia del 22 novembre 2017.